È sabato pomeriggio, più precisamente il 17 giugno, con Lucia decidiamo di andare a Faenza per la prima volta da quando c’è stata l’alluvione. La prima tappa è il quartiere di Borgo Durbecco, mi è stato suggerito da l’amico Marco Uccellini che vive a Faenza, in quanto è uno dei quartieri più colpiti. Parcheggiamo in via Mittarelli vicino al Ponte delle Grazie, che collega il quartiere a Faenza, sotto il fiume Lamone taglia la città e mi torna in mente un ricordo e lo racconto a Lucia.
Era pasqua di quest’anno, i miei erano saliti da Roma e decidiamo di fare un giro a Faenza, non l’avevano mai vista, stiamo passando proprio per via Mittarelli e siamo fermi al semaforo, mia madre guardando dal finestrino mi dice:
“Gigi ma perché quella panchina è messa in mezzo a quella boscaglia?”
le rispondo “Perché non è boscaglia, quello è un fiume”
“Un fiume, ma che dici?”
“Si Mamma è un fiume solo che è pieno di boscaglia ma in realtà questo muro di terra è un argine ed è possibile passeggiarci sopra e sedersi sulla panchina”
Ancora incredula ribatte “Ma è tenuta una schifezza”
“Eh è una lunga storia”
Ora da via Mittarelli puoi vedere tutto il letto del fiume e anche l’altro lato, il quartiere Borgo, tutto è stato ripulito, ma resta pieno di fango e rifiuti vari.
Attraversiamo il Ponte delle Grazie in direzione Borgo, è stato chiuso alle auto per problemi strutturali e ce ne rendiamo conto dei danni quando andiamo verso via Ugo Piazza. Il 16 maggio il fiume Lamone all’altezza della chiusa de torrente Merzeno ha rotto l’argine, sfondando il muro, e l’acqua passando da via Cimatti ha invaso il Quartiere di Borgo, ci saranno altre rotture e anche dall’altra sponda del Lamone, si allagheranno i quartieri di via Lapi arrivando fino al centro storico.
Ci rendiamo conto della violenza dell’acqua, della sua distruzione quando arriviamo alla rotonda che ci collega a via Torretta e via Cimatti: C’è un edificio con l’insegna “Impresa edile Melandri” che ha il piano terra distrutto, se non si vedesse ancora il fango potremmo pensare ad un edificio sottoposto a lavori. Qui conosciamo il signor Domenico che vive in via Torretta e parte della casa, al piano terra, l’ha adibita a B&B e al nostro arrivo un camion spurgo sta ancora cercando di liberargli la cantina, sotto il livello della strada dal fango liquido, in realtà l’unico rumore che si sente nel quartiere è quello degli autospurghi oppure si passa al silenzio totale.
Parlando con Domenico, mi rendo conto che ha lo sguardo di chi è consapevole di essere sopravvissuto e riesce anche a darci un sorriso mentre ricorda i giorni tremendi, ci fa vedere sui muri esterni ed interni a che livello era salita l’acqua in casa sua, circa due metri, e ci parla della pulizia e dei lavori che saranno necessari, in pratica il piano terra è stato ridotto allo stato grezzo. Poi ci racconta del giorno dell’alluvione, prende l’auto per istinto la va a mettere al sicuro più in alto, ma non potrà tornare più indietro, il quartiere è già allagato, per fortuna la sua famiglia e gli ospiti del B&B sono al piano superiore, ma senza luce, ovviamente Domenico è preoccupato ma riesce a sentirli al telefono, potrà rivedere i suoi cari solo qualche giorno dopo, poi sorridendo ci dice “vado a stare da mia zia nel frattempo, ma di sera poi arriva l’acqua anche lì e dobbiamo andare via”. Guardando su via Torretta ci fa vedere il segno dell’acqua sugli edifici, alcuni pericolanti, l’occhio cade sulla ditta edile sopracitata e lui ci racconta che un ragazzo giovane qualche mese fa l’aveva rilevata, tra la prima e la seconda alluvione ha perso tutto, ora chiude non riaprirà, questo non è tempo per i giovani.
Proseguiamo su via Cimatti vediamo i palazzi nelle vie laterali sommersi fino ai primi piani compresi, il grosso del fango è rimosso, ma le tracce restano, un palazzo ha le colonne del cancello d’ingresso in cemento spezzate, autospughi e persone che cercano di pulire i muri dal fango sono ovunque, i cartelli stradali e i manifesti pubblicitari sono ancora sporchi e forse restano apposta così, come un inconscio monito di non voler dimenticare.
Arriviamo nel punto dove via Cimatti diventa un viale alberato, ci sono terreni ancora con pozze enormi di acqua e come contraltare coltivazioni coperte dal fango che sta crepando dalla siccità, i teli sporchi sembrano quelli di una nave, un vecchio galeone, che ha attraversato una bufera. Al centro della via, su un mezzo tronco di albero qualcuno ha lasciato degli stivali sporchi di fango, creando di fatto un monumento che spero rimanga lì.
Iniziamo a notare una cosa che ci sembra all’inizio bizzarra, il postino ritiene opportuno inserire le lettere della Tari belle pulite dentro cassette della posta piene di fango, in un condominio sulla stessa via glielo hanno spiegato con un cartello che dovrebbe evitare, ma egli indefesso salta solo quel condominio e continua negli altri, all’inizio sembra divertente, ma poi notiamo degli operai del comune che tappano un buco stradale alla bene e meglio su una strada che probabilmente andrebbe rifatta, e tornando al Ponte delle Grazie vediamo autospughi alternarsi nello scaricare i liquami nel Lamone, fiume che va diretto al mare, ma ci dicono che il mare è ok. Questi gesti fatti quasi in automatico da queste persone, senza una apparente gestione sembrano atti meccanici fatti sotto un trauma, la città è in trauma e si rifugia in queste piccole apparenze di normalità, nel fare qualcosa per farlo, per essere utili, per cercare una normalità, per sentirsi vivi.
Lasciamo Borgo e andiamo verso il centro in via Garibaldi dal lato dell’Hotel Vittoria, Faenza come molte altre città e comuni colpiti meriteranno altre visite per essere raccontate meglio. In via Garibaldi ci accoglie l’odore del fango, le cantine dei palazzi storici ne sono piene o le stanno svuotando, anche qui è pieno di autospurghi. Molti negozi, dai piccoli supermercati etnici a quelli di arredo di fascia alta, hanno ripreso le attività, molti sono distrutti, e resta impressionante. Noto che soprattutto sulle attività che hanno ripreso le vetrine sono ancora sporche di fango, non abbiamo avuto tempo di indagare, ma credo sia fatto apposta, non si vuole dimenticare subito quanto e successo, in effetti anche Domenico di Borgo Durbecco nel racconto dei danni subiti ci dice “Ci vorrà del tempo per riparare tutto, e forse è giusto anche così, dobbiamo elaborare quello che è successo”.